Oltre il congresso della CGIL

L’evidente sproporzione tra la vastità dei temi e degli obiettivi nelle mozioni congressuali e la situazione di miseria e di impotenza della classe lavoratrice rischia di nascondere i processi reali in corso nella società e nei luoghi di lavoro e i loro effetti sulla CGIL. Certo, la presentazione di un documento di contenuto critico e classista, di contestazione radicale della linea e della direzione della CGIL, con l’adesione di categorie di importanza centrale, è un fatto nuovo e molto rilevante per le prospettive del movimento sindacale. Ma a noi sembra chiaro che se non si affrontano e si comprendono a fondo le ragioni della generale e sistematica marginalizzazione dei lavoratori nella vita sociale e politica, resta vano il tentativo di riaffermare i diritti e gli interessi dei lavoratori e di uscire da una politica di accordi e di concertazione dagli effetti fallimentari.

In sostanza, questa situazione si è originata in un processo economico internazionale e nei suoi effetti politici profondi: negli ultimi anni si sono fatti sentire in tutti paesi sviluppati gli effetti dell’integrazione nel commercio mondiale dei paesi di nuova industrializzazione, che ha inciso radicalmente sui rapporti tra i paesi e tra le classi, da una parte tagliando i prezzi alla produzione e i salari e dall’altra moltiplicando le opportunità di investimento dei capitali, specialmente sul piano finanziario e commerciale, con il risultato di trasferire ricchezza e reddito dal lavoro al capitale e alla rendita.

Le opportunità economiche e i rapporti di forza generati da questo meccanismo hanno modificato profondamente nei paesi sviluppati l’orientamento politico delle classi medie, che hanno fatto proprie le prospettive del liberismo e, soprattutto in paesi con collocazione marginale ed instabile come l’Italia, respingono ogni rapporto che le vincoli agli interessi della classe lavoratrice.
Questo fatto è anche evidente nell’evoluzione dal PCI, che ha rappresentato e cercato di conciliare per decenni gli interessi delle classi medie e quelli dei lavoratori, al PD, che rappresenta interessi lontani da quelli dei lavoratori e si rapporta al movimento sindacale, in particolare alla CGIL, molto più per vincolarne che per sostenerne l’azione. La determinazione del PD nell’escludere mediazioni con gli interessi dei lavoratori è del resto arrivata al punto di praticare senza esitazione una politica del lavoro e della previdenza che ha finito per rompere la base sociale che aveva portato Prodi al governo e consegnare l’Italia a un aggregato di affaristi e criminali.

I vincoli che impediscono ai lavoratori di far valere i propri diritti e i propri interessi sono perciò il risultato di processi economici e scelte politiche che rispecchiano interessi di altre classi sociali e che non hanno incontrato sufficiente resistenza da parte del movimento sindacale. I vincoli che venivano dai partiti politici, l’illusione che bastasse concedere qualcosa per soddisfare gli appetiti dei padroni e delle altre classi parassitarie, l’introiezione delle ideologie e delle priorità di altre classi, anche le più assurde come le privatizzazioni e la deregolamentazione dei rapporti di lavoro, lo svuotamento dall’alto delle strutture sindacali territoriali e di fabbrica hanno indebolito e disorientato profondamente il movimento dei lavoratori.

Negli ultimi anni sono però diventati evidenti sia limiti delle opportunità offerte dai cambiamenti internazionali, sia la difficoltà di governarli ignorando gli interessi dei lavoratori, in particolare scaricando sui salari operai l’arretratezza di una struttura industriale polverizzata in una miriade di piccole aziende e impoverita degli investimenti, dirottati sulla finanza internazionale e sulla rendita. La fine del governo Prodi ha dimostrato a quella parte delle classi medie che lo sostenevano che senza i lavoratori esse non dispongono né della forza né del programma necessario per governare.
Con la crisi economica sono poi venuti a mancare i presupposti dei processi sociali e politici che hanno indebolito i lavoratori: agli arricchimenti in borsa e ai rialzi del mercato immobiliare sono seguite le perdite e la stagnazione dei prezzi, e in tanti hanno riscoperto “l’economia reale” e il ruolo della produzione e dei lavoratori.

In questo quadro, lo scontro nel Congresso della CGIL solo in parte ripete la storia dei Congressi precedenti, con minoranze che si caratterizzavano su radicalità, democrazia e conflittualità, con qualche risultato di riconoscimento di legittimità e di ruoli dirigenti, ma senza consistenza politica e strategica.
Per la prima volta i gruppi dirigenti nazionali di intere categorie di importanza centrale si identificano in posizioni programmatiche alternative a una Segreteria e a una maggioranza che intendono rappresentare la continuità di una linea e di una pratica di decenni, sempre svolta nella contiguità tra gruppi dirigenti sindacali e politici, dal PCI al PD. Si è approfondito e formalizzato un conflitto che era aperto da qualche anno, che si è manifestato nel Referendum del 2007 sul Welfare, e che ha spinto i protagonisti ben oltre le loro intenzioni iniziali, come è successo ai dirigenti Fiom, passati dalle “tesi integrative” nel 2006 al documento alternativo di oggi.
Questo sviluppo conferma che sono maturate le tensioni prodotte dal venir meno definitivo di una prospettiva politica e dei suoi ben collaudati canali di influenza e mediazione, e che cresce la consapevolezza del fallimento e dell’impraticabilità di politiche e di scelte sindacali che a quella prospettiva e a quella pratica vorrebbero continuare a riferirsi.

La questione politica implicita in questa evoluzione, e che si presenterà presto come evidente e ineludibile, è quella della rappresentazione dei lavoratori come soggetto indipendente sul piano politico e sindacale; di conseguenza la questione che sta dietro lo scontro congressuale e che si porrà oltre il congresso è quella di definire e praticare obiettivi coerenti con gli interessi generali e fondamentali della classe lavoratrice, restituendole il suo peso e il suo ruolo sociale e politico.
E’ questo il compito che spetta a chi vuol far uscire il movimento dei lavoratori da una logica di subalternità e di impotenza.

Certo non si possono non vedere i limiti e l’inadeguatezza dei gruppi e che all’interno della CGIL si candidano a rappresentare i lavoratori nella fase che si sta aprendo. Tuttavia, nel breve periodo, già il consolidamento di una estesa opposizione nella CGIL aumenterebbe le possibilità di iniziativa e di prospettiva comune per i lavoratori attivi nelle fabbriche, e l’affermazione di un giudizio, ormai maturo, di fallimento dell’unità tra CGIL, CISL e UIL rimuoverebbe non pochi vincoli agli spazi di azione sindacale e soprattutto porrebbe finalmente in modo esplicito il problema di chi e su quale programma rappresenta i lavoratori.


Redazione "il Manifestino"

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