Non solo il crac della sinistra battuta alle elezioni, ma anche il declino della componentistica auto. Qui nascono sterzi, serrature, impianti a gpl: ma in 6 anni si sono persi mille posti di lavoro. La storia-simbolo: Mtm, da 800 operai al rischio chiusura
Grazie al boom degli ecoincentivi per auto ecologiche era arrivata a occupare nel 2009 oltre 800 operai: adesso è rimasta con 108 dipendenti in cassa integrazione e rischia la chiusura. La storia è quella dello stabilimento Mtm di Guasticce (paese alle porte di Livorno) specializzato nell’installazione di impianti a gpl sulle auto. “L’azienda – racconta Simone Puppo, responsabile componentistica della Fiom
– non sembra vedere all’orizzonte prospettive di rilancio e potrebbe
chiudere. L’80 per cento delle difficoltà di Mtm sono legate al
progressivo taglio degli ecoincentivi”. Il mercato delle auto a gpl era
stato “drogato” dai cospicui incentivi stanziati nel 2009 dall’allora
ministro allo Sviluppo economico Claudio Scajola. “Non
dobbiamo inoltre dimenticare – aggiunge il sindacalista – che adesso la
maggior parte delle case automobilistiche ha internalizzato l’operazione
di montaggio dei kit per il gpl. La crisi del mercato dell’auto ha
fatto il resto”. Ilaria Landi della segreteria provinciale Uilm
conferma: “L’azienda ci ha comunicato che a Livorno non ha più volumi:
il futuro è molto incerto”. Nei giorni scorsi è stato raggiunto
l’accordo per la cassa integrazione in deroga fino a fine agosto, con il
rinnovo dei sussidi per un mese. Ai lavoratori l’azienda potrebbe però
anche proporre una mobilità volontaria e incentivata. Le
tute blu erano venute a conoscenza della gravità della situazione a
metà maggio, quasi per caso. “Mi dispiace che da lunedì non porteremo
più auto nella vostra fabbrica” aveva dichiarato un camionista ai
lavoratori. A quel punto era iniziato un presidio permanente all’interno
della fabbrica. E ora il futuro dello stabilimento labronico resta
assai incerto. L’azienda ha sede a Cherasco (in provincia di Cuneo): circa 800 i dipendenti occupati in Piemonte. Il timore di molti lavoratori livornesi è che Mtm voglia definitivamente chiudere
lo stabilimento di Guasticce per concentrare la sua produzione nel
quartier generale di Cherasco: “Questo non deve assolutamente succedere”
dice Landi. Mtm si era insediata nella periferia livornese nel 2008
avviando la produzione con una sessantina di addetti. La manodopera –
gran parte della quale assunta con contratto a termine – era poi
progressivamente lievitata (oltre 800 operai a fine 2009) per far fronte
al boom delle vendite di auto a gpl. Con la drastica
riduzione degli ecoincentivi è però di conseguenza arrivata la
progressiva sforbiciata ai contratti in scadenza e il successivo ricorso
alla cassa integrazione.La crisi della Mtm rappresenta solo la
punta dell’iceberg nel panorama della componentistica di Livorno,
settore industriale su cui si fondava una buona parte della manodopera
nella città che ha già subito il “crac della sinistra” (con il trionfo
M5s): “Dal 2008 a oggi – spiega Puppo – abbiamo perso un migliaio di
posti di lavoro, circa un quarto dell’intera manodopera occupata nel settore”. Nei mesi scorsi era stato l’assessore regionale al lavoro Gianfranco Simoncini
a chiedere al governo di riconoscere il polo produttivo livornese tra
le aree di crisi industriale complessa. L’esponente Fiom traccia poi una
rapida radiografia del comparto. La Trw fabbrica
sterzi (“l’80% della produzione riguarda Fiat”) e occupa al momento 420
addetti: “E’ dal 2008 che si fa ricorso agli ammortizzatori”. Alla Magna
(serrature per Audi e Fiat) i dipendenti sono circa 540: “La fabbrica
ha vissuto in passato anni difficili. La situazione è leggermente
migliorata: nessun ammortizzatore sociale è al momento aperto”. L’unico
grande soggetto che non sembra aver risentito della crisi è la Pierburg
(l’azienda produce pompe olio e occupa circa 300 lavoratori): “Negli
ultimi tempi si è anche ricorso agli interinali”. Notte fonda infine per
i 130 operai della ex multinazionale Delphi (nel 2006 gli allora 400 dipendenti furono licenziati via e-mail) assunti a inizio 2010 da Gian Mario Rossignolo (l’ex manager Telecom è stato poi arrestato con l’accusa di truffa allo Stato nel 2012) per il progetto De Tomaso.
La fabbrica inaugurata nel marzo 2011 avrebbe dovuto sfornare auto di
lusso ma non è mai entrata in funzione. I 130 ex Delphi sono in cassa
integrazione da otto anni, ma non ci sono imprenditori interessati a
investire. “Mi auguro che il sindaco Nogarin – conclude Puppo – incontri
quanto prima le organizzazioni sindacali: oggi si parla di tutto tranne
che dei problemi della componentistica”.Uno sguardo anche alla realtà portuale, settore fondamentale per lo sviluppo livornese che occupa direttamente 1500 addetti
(più circa 6500 lavoratori dell’indotto). La situazione appare
delicata: “Dal 2008 a oggi nessun posto di lavoro perso – spiega Simone Angella,
responsabile di settore della Filt-Cgil – ma il dramma è stato evitato
grazie a un ampio ricorso agli ammortizzatori sociali. I lavoratori
hanno pagato con le proprie tasche questa crisi”. Il lavoro sulle
banchine scarseggia: negli ultimi 5 anni si è perso il 25% del traffico
merci. La storica Compagnia portuale di Livorno (400 lavoratori) “usufruisce da almeno cinque anni dei contratti di solidarietà” mentre gli addetti Alp
(unico soggetto autorizzato dalla legge 84/94 sui porti a poter fornire
manodopera temporanea per far fronte ai picchi di lavoro) “effettuano
soltanto 9 turni al mese”. Secondo Angella il porto necessita di nuove
infrastrutture: “Da questo punto di vista siamo fermi da 10 anni.
L’ultima grande opera realizzata nel nostro scalo, la Darsena Toscana,
risale alla fine degli anni Settanta”. L’intero territorio livornese
non sembra ancora essersi ripreso dagli effetti della crisi. Secondo
recenti dati Istat il tasso di disoccupazione generale nell’intera
provincia si aggira intorno al 9% (tra i 15 e i 24 anni si sale al 30%).
“La situazione – taglia corto il segretario provinciale Cgil Maurizio Strazzullo
– resta drammatica. Abbiamo dovuto giocare in difesa per tentare di
salvare quanti più posti di lavoro possibili: purtroppo all’orizzonte
non sembrano esserci nuovi imprenditori”. La preoccupazione maggiore
(“la vertenza madre”) è per le sorti del polo siderurgico piombinese: in
ballo circa 5mila posti di lavoro tra diretti (Lucchini, Magona e Tenaris Dalmine)
e indiretti. Il settore su cui la crisi ha pesato maggiormente?
“L’edilizia: dal 2008 a oggi si è perso il 40% della forza lavoro”.
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