Il nostro modello sociale sacrificato ad un debito pubblico fuori controllo

Il Corriere della sera rende oggi nota un'analisi sull'andamento della finanza pubblica Italiana dal 1993 al 2013. Il dato più eclatante parla di un paese che, molto piu diligentemente di altri, Germania in primis, ha fatto tutti i compiti a casa imposti dal trattato di Maastricht del 1992 per ridurre il debito pubblico. Sino al punto che nel corso di questi 20 anni il bilancio dello stato ha registrato un avanzo primario di circa 585 miliardi di euro pari mediamente al 2,1% del Pil. Un risultato straordinario? In primo luogo il fatto che il nostro paese sia quello con l'avanzo maggiore rispetto ai grandi paesi europei la dice lunga su quanto sia stata dura da noi la cura per l'ingresso nell'europa di Maastricht tra maggiore tassazione, privatizzazioni, tagli allo stato sociale ed alla spesa pubblica. In secondo luogo tutta questa austerità è stata totalmente inutile, travolta dagli interessi sul debito pubblico che nello stesso periodo sono stati pari a 1650 miliardi. Abbiamo sacrificato buona parte del sistema previdenziale, la scala mobile, la crescita salariale, la stabilità e i diritti del lavoro solo per continuare a pagare gli interessi su un debito pubblico ormai fuori controllo. Vent'anni di menzogne per coprire sacrifici inutili che non hanno colto nessuno degli obbiettivi di bilancio dichiarati ma che invece hanno fatto scivolare la condizione delle classi popolari indietro di decenni. Siamo cioe al fallimento conclamato di chi in questi venti anni ha sostenuto che la precarizzazione del lavoro, la moderazione salariale, il risanamento e la ritirata dello stato dall'economia avrebbero accresciuto l'occupazione e il benessere generale. Tra costoro c'è ampia parte della sinistra politica e c'è il sindacalismo confederale al gran completo. La concertazione e il patto corporativo del 1993 edificato sulla subordinazione dell'iniziativa sindacale al risanamento del bilancio pubblico e delle compatibilità d'impresa hanno infatti rappresentato il vero giro di boa nella storia sindacale di questo paese. Senza la resa della Cgil e dei suoi gruppi dirigenti a quel modello,nonostante la pesante contestazione dei lavoratori alle scelte ed alle burocrazie del sindacato, il massacro sociale non sarebbe stato possibile. Oggi l'accordo del 10 gennaio, il cosiddetto Testo unico sulla rappresentanza, si incarica, attraverso un sistema autoritario che liquida i diritti sindacali, di rendere possibile la prosecuzione della politica di spoliazione di salario e diritti in forma ancora piu virulenta del passato, senza piu nemmeno mascherare la propria natura o fingere obbiettivi condivisi del sistema paese. Per questa ragione abbiamo messo al centro della nostra campagna d'autunno la necessità di un ampio fronte sociale che contrasti senza ambiguità il modello del 10 gennaio e le politiche d’austerità. Un fronte che deve andare oltre la pura sommatoria dei gruppi dirigenti per affrontare il nodo della ricostruzione di credibilita', senso ed efficacia delle lotte a partire dalla questione delle pratiche concrete. Senza l'irruzione delle nuove generazioni , totalmente assenti dalla politica formale e dal sindacato in questa fase, nessun conflitto può davvero ripartire su larga scala. È il nodo di fondo con cui tutti ci dobbiamo misurare. 

Sergio Bellavita 
portavoce nazionale Il sindacato è un'altra cosa

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