La manovra economica colpisce ancora una volta i lavoratori e le loro famiglie con i tagli nella sanità, nei trasporti e nella scuola, l’aumento dell’età pensionabile per le donne, l’aumento delle tasse (benzina, detrazioni IRPEF, IVA, sigarette). Questo non solo riduce da subito i beni e i servizi a disposizione dei lavoratori ma farà diminuire occupazione e consumi e perciò chiudere ancora altre fabbriche.
Il
governo e gli industriali hanno addirittura approfittato della
manovra per colpire i diritti sul posto di lavoro permettendo ogni
sorta di deroga ai contratti nazionali e alle leggi che i lavoratori
si sono conquistati con decenni di lotte.
Questa
è solo l’ultima conseguenza degli accordi scandalosi firmati da
CISL e UIL con il Governo e i padroni (Pomigliano, Mirafiori, ecc.).
L’accordo del 28 giugno ha poi aperto la strada fin nei particolari
all’art. 8 del Governo e la
firma della CGIL, senza alcun mandato dei lavoratori,
ha vanificato in anticipo la generosa partecipazione allo sciopero
generale del 6 settembre.
Il
Governo, la Confindustria e i parassiti che dagli anni ’80 si sono
arricchiti grazie a una spesa pubblica fatta di elargizioni, sprechi
e corruzione e in questo modo hanno gonfiato il debito pubblico ci
vengono a dire che il debito viene dalla spesa sociale e dal livello
dei salari e delle pensioni.
Dobbiamo
rispondere che sono i
lavoratori a produrre tutta la ricchezza. Salari, pensioni e servizi
sociali sono solo la parte, sempre più piccola, della ricchezza
prodotta che rimane ai lavoratori.
Il
blocco dei salari e l’attacco alle pensioni ripropone
oggi quello che è stato fatto negli anni ’90:
una politica che ha trasferito ricchezza dai salari ai redditi da
capitale e ai circuiti finanziari e che dimostra oggi il suo completo
fallimento: non solo non ha ridotto il debito pubblico, ma ha
direttamente generato le cause della crisi di oggi.
L’aumento
del debito pubblico è stato provocato dal grande e crescente divario
tra i salari e i redditi delle altre classi,
che sfuggono al prelievo fiscale e finiscono nella finanza
internazionale senza contribuire agli investimenti produttivi. Classi
che pesano enormemente sul bilancio dello Stato perché ottengono in
mille forme molto più di quanto non versino.
La
crisi può perciò essere affrontata solo tagliando e tassando questi
redditi.
Dobbiamo
avere chiari i punti decisivi dello scontro in atto:
-
Solo la difesa
intransigente dei
salari e delle condizioni di lavoro costringerà al taglio e alla
tassazione dei redditi delle altre classi. I compromessi, oltre a
peggiorare immediatamente le condizioni dei lavoratori,
aggraverebbero ancora gli effetti e le cause della crisi attuale.
-
Le pensioni dei lavoratori non
sono spesa pubblica,
ma solo la restituzione dei contributi pagati. Le pensioni potrebbero
anzi aumentare del 30 per cento se si mettesse fine all’evasione
contributiva, stimata in 40 miliardi l’anno, e si adeguassero i
salari alla media europea. Inoltre lo Stato deve ancora ai
lavoratori decine di miliardi di attivi INPS usati per altri scopi.
-
I lavoratori dipendenti e i pensionati pagano oggi l’82
per cento del totale dell’IRPEF,
pari a 120 miliardi su un totale di 146. Una quota altissima, sempre
crescente e aumentata del 10 per cento negli ultimi 15 anni. Tanto
più che nello stesso periodo i
salari e le pensioni hanno perduto una quota dell’8 per cento del
PIL, pari oggi a 120
miliardi di euro l’anno.
Tutto
questo dimostra che non c’è niente da contrattare né compromessi
da considerare. I lavoratori devono respingere
con decisione ogni politica di compromesso e cedimento
su salari, pensioni, diritti, condizioni di lavoro e servizi
sociali. Chi oggi propone cedimenti e compromessi lo fa solo per non
mettere in discussione una politica economica e fiscale al servizio
di classi parassitarie.
Le
risorse vanno reperite nei capitali, nei patrimoni e nei redditi
gonfiati da anni di questa politica, ormai delegittimata
e indifendibile per i suoi evidenti effetti distruttivi sull’intera
società.
RSU FIOM PIAGGIO
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