I motivi nascosti della newco a Pomigliano

Secondo lo statuto l’azienda “può acquistare, vendere e gestire stabilimenti e immobili”. E il piano casa della Regione Campania è piuttosto permissivo sulle riconversioni di aree manifatturiere. Ma dal Lingotto smentiscono: faremo solo automobili

Siamo nel campo delle ipotesi, della divagazione estiva. C’è un passaggio dello statuto della newco - che rileverà, per volere dell’amministratore delegato Sergio Marchionne, lo stabilimento di Pomigliano d’Arco dalla Fiat Group automobilities - che fa riflettere sul fatto che forse la nuova società è stata costituita non solo per “superare” i vecchi rapporti contrattuali cui la Fiat ha provato a dare una spallata con il referendum di giugno, ma anche per altre ragioni. Valutazioni “secondarie”, che potrebbero avere una loro logica se si prova a mettere insieme alcuni fatti e almeno un paio di considerazioni generali sui processi che sono in atto, ormai da tempo, anche nella nostra economia post-industriale.
Lo statuto della nuova compagnia
, dopo aver fatto riferimento alla missione industriale dell’impianto di Pomigliano (“l’attività di produzione, assemblaggio e vendita di autoveicoli e loro parti”), evidenzia come per perseguire lo scopo l’azienda “può acquistare, vendere e gestire stabilimenti, immobili e aziende, può compiere operazioni commerciali, industriali, immobiliari e finanziarie, queste ultime non nei confronti del pubblico, necessarie o utili per il conseguimento dell’oggetto sociale”.
Sembrerebbe, a prima vista, un’apertura a possibili meccanismi speculativi su una parte dei suoli dello stabilimento di Pomigliano, in particolare su quelli che non hanno più da tempo una funzione industriale vera e propria. Una sostegno a queste mere ipotesi, potrebbe arrivare dal piano casa varato dalla Regione Campania, piuttosto permissivo in materia di riconversione di aree manifatturiere non più in uso. Quell’impianto, eredità delle partecipazioni statali che fondarono l’Alfa Sud nel 1969, sorge su un’area, estesa sul territorio di tre diversi comuni del vesuviano – Pomigliano, Acerra e Brusciano – di 2.214 mila metri quadri, di cui 378 mila metri quadri coperti di capannoni, magazzini, e quant’altro. Un patrimonio di terreni e immobili immenso.
Si obietterà che è una prassi inserire negli statuti elementi di questo tipo. Il capo ufficio stampa della Fiat, raggiunto telefonicamente, fa notare che nello statuto del gruppo esiste un passaggio molto simile a quello e che la motivazione di quelle righe sta nella possibilità per l’impresa di vendere o affittare a fornitori una parte dei suoli scoperti o coperti. Quindi, nella sostanza, Fiat non avrebbe nessuna intenzione - al momento - di giocare con i terreni in suo possesso, se non per fabbricare auto a ripetizione.
Ci sono degli aspetti che però vanno valutati. La prima considerazione riguarda la differenza tra valore della rendita e rendimento industriale. Si sa che negli ultimi anni, nel nostro paese, molte aziende a vocazione manifattueriera, e specialmente i grandi gruppi, hanno “differenzato” le loro attività puntando in particolare sul mattone. Gli scarsi guadagni se non proprio le perdite, vengono compensate con la speculazione immobiliare. Del resto la stessa Fiat ha proceduto a un’operazione del genere con il Lingotto, trasformato da stabilimento in uno dei centri multifunzionali più grandi d’Europa, con tanto di gallerie commerciali, alberghi, ristoranti. Potrebbe accadere acnche a Pomigliano?
“Tutto è possibile – spiega con molta cautela Maurizio Mascoli, segretario regionale della Fiom -, è presto per dirlo, ma - fa notare - una delle ultime mosse della giunta Bassolino è stata quella di rendere più facile la riconversione di vecchi stabilimenti in edilizia privata”. Non sono cose che sfuggono a un grande gruppo. Case, quindi, nel bel mezzo di una zona dell’hinterland napoletano che ha conosciuto negli ultimi trent’anni una delle più massicce cementificazioni della penisola? Basteranno tre anni alla Fiat per poter avviare progetti di questo tipo, quanti sono necessari per stabilire se la Panda a Pomigliano frutterà guadagni. Ma siamo nel campo delle ipotesi fantaindustriali. Per il momento. 

Antonio Fico

fonte:http://www.rassegna.it

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