Mandando questo intervento scritto che avevamo preparato per
l’assemblea nazionale dell’area del 12 maggio e che è stato la base per
il nostro intervento nel dibattito lì svolto, dichiaramo anche la nostra
adesione al documento “Contro
la repressione, per il pluralimo e il rilancio dell’opposizione di
classe in Cgil. Ricomponiamo le lotte e riprendiamo la mobilitazione
generale”, prima firmataria Eliana Como.
Riteniamo che con la sua uscita dalla Cgil il compagno Bellavita commetta un grave errore prestandosi esattamente al gioco della maggioranza Cgil.
Riteniamo che con la sua uscita dalla Cgil il compagno Bellavita commetta un grave errore prestandosi esattamente al gioco della maggioranza Cgil.
Né il licenziamento di Sergio Bellavita, né la dichiarazione di
incompatibilità di 17 delegati del gruppo Fca sono fatti riconducibili
alla sfera personale.
Le misure disciplinari e organizzative recentemente prese dal gruppo dirigente Cgil e Fiom non danneggiano dei singoli individui, né una singola area sindacale. Esse attaccano dei principi, creano dei precedenti. Ed è su questo che è necessario focalizzarsi.
Le misure disciplinari e organizzative recentemente prese dal gruppo dirigente Cgil e Fiom non danneggiano dei singoli individui, né una singola area sindacale. Esse attaccano dei principi, creano dei precedenti. Ed è su questo che è necessario focalizzarsi.
Bellavita è licenziato senza nessun’altra motivazione che l’aver
criticato la linea decisa a maggioranza dagli organismi dirigenti. Siamo
quindi alla teorizzazione del ruolo puramente esecutivo, di gestione
della linea, del funzionario. E alla negazione di conseguenza del suo
ruolo politico. Dall’altro lato, si usa il pretesto del comitato di
lotta Fca per attaccare dei delegati che hanno svolto azioni, come la
proclamazione di uno sciopero, che rientrano pienamente nella loro
titolarità. E’ del resto lo spirito del “Testo unico sulla
rappresentanza”.
Ruolo politico del funzionario – e quindi esistenza di funzionari di
minoranza- e titolarità e poteri del delegato di fabbrica: questo è il
punto. E’ su questo che avremmo dovuto focalizzare da subito la nostra
attenzione e la nostra campagna.
Tuttavia è bene capire la portata, il significato e lo scopo
dell’attacco che ci viene mosso. Non dobbiamo vedere solo l’ignobile
autoritarismo della burocrazia, ma anche la sua profonda debolezza.
Decapitando l’opposizione interna, Landini e Camusso compiono un
gesto volutamente esemplare. Compiono una provocazione il cui scopo
evidente è quello di far precipitare la discussione nella minoranza
sindacale, facendo sorgere ad un polo del nostro dibattito una posizione
scissionista e all’altro il sospetto che chi rimane a fare opposizione
lo faccia per ragioni di comodo e all’interno di un recinto ben
delineato.
La loro operazione giunge perciò a successo non con il licenziamento
del compagno Bellavita in sé e per sè, ma con il nostro avvitarsi in
una discussione dai contorni poco chiari sulla permanenza in Cgil.
Intendiamoci: discutere di uscire dalla Cgil non è un tabù. E non ne
vogliamo di certo farne un feticcio. Ma tale discussione non può essere
dettata dal grado di agibilità che ci viene concessa da Landini o
Camusso. Il grado di repressione esercitato dalla burocrazia sindacale è
un fattore da tenere in considerazione quando si sceglie di militare in
questo o quel sindacato. Ma non è l’unico. E di certo nemmeno il più
importante.
E’ una scelta che discende dalle prospettive: è possibile che lo scoppio di futuri movimenti di massa non finisca per attraversare e coinvolgere un sindacato di massa come la Cgil?
E’ una scelta che discende dalle prospettive: è possibile che lo scoppio di futuri movimenti di massa non finisca per attraversare e coinvolgere un sindacato di massa come la Cgil?
Per quanto la degenerazione dell’apparato si sia spinta molto in là,
per quanto la burocrazia sindacale provi in tutti i modi a basarsi sugli
enti bilaterali e fondi integrativi, per quanto la nuova generazione
dei funzionari sia prelevata direttamente dalle università o da
meccanismi di clientela e manchi di qualsiasi esperienze e capacità di
coinvolgimento dei luoghi di lavoro, difficilmente lo scoppio di un
movimento alla francese vedrebbe la Cgil, ed in particolare la Fiom,
restare immobile ai margini.
Del resto basterebbe porsi la domanda: perchè Camusso e Landini ci
attaccano? Non di certo per la nostra attuale forza e per le nostre
dimensioni. Un’area del 3% non rappresenta di certo un pericolo
immediato. Ci attaccano perché la crisi di strategia dei vertici Cgil è
tale da non poter sopportare nemmeno una voce critica.
Temono in effetti non quello che siamo oggi, ma l’opposizione che
potrà nascere domani. Temono il collegamento potenziale tra le nostre
idee e lo scontento che spesso confusamente si va accumulando tra i
lavoratori quando ad ogni passaggio, vertenza, campagna o rinnovo
contrattuale, la burocrazia sindacale mostra la propria inefficacia, la
propria inadeguatezza.
Da questa inadeguatezza discende una perdita di autorevolezza
dell’apparato, una flessione del suo consenso, ma non di certo un crollo
generalizzato del sindacalismo confederale. Lo dimostrano i dati dei
rinnovi Rsu o i recenti scioperi del commercio o del pubblico impiego.
Fino a ieri c’era chi vedeva soltanto la rottura tra Landini e
Camusso, tra la Fiom e Marchionne, tra la Cgil e il Pd. Ne discendeva
l’idea unilaterale di una Cgil permanentemente costretta a radicalizzare
lo scontro, a condurre una lotta all’ultimo sangue contro il Jobs Act,
di una Fiom costretta a basarsi sulla pura militanza operaia in Fiat
alla stregua di un Cobas. Una visione che non prevedeva né un possibile
riavvicinamento tra Landini e Camusso, né l’esistenza di una linea di
conciliazione tra alcuni settori della classe dominante e i vertici
confederali.
Il livello di attacco a cui è sottoposta la Cgil non determina solo
la necessità da parte della struttura di rispondere con qualche forma di
mobilitazione. Determina anche un aumento del suo grado di codardia, di
viltà. Ne nasce un tentativo disperato di conciliazione con il
padronato che sfiora il grottesco, che sfida le leggi di gravità. Le
categorie, Fiom in testa, sono alla ricerca spasmodica di qualsiasi cosa
da firmare, purché ne discenda un qualche riconoscimento del loro ruolo
“ai tavoli”.
Ma commetteremmo lo stesso errore di unilateralità se oggi vedessimo
solo questo aspetto. Non siamo di fronte ad un processo solido, privo di
contraddizioni. Non siamo al ritorno in grande stile della
concertazione. Nè il Pd né il padronato ne hanno alcuna intenzione. Non
lo permette la situazione economica. Sballottata, priva di strategia, la
burocrazia sindacale scopre ad ogni nuovo tentativo di accordo, che
l’asticella si è alzata. Non vuole guerra, ma non trova da far pace.
Si dica lo stesso per i rapporti interni alla struttura. Non sarebbe
la prima volta che si giunge ad un congresso unitario tra le principali
anime burocratiche della Cgil per poi vedere cinque minuti dopo lo
scoppio delle peggiori guerre intestine. Il restringimento dei margini
economici e di manovra del sindacato confederale non possono che
determinare una guerra a bassa intensità tra le diverse correnti per
dividersi una torta che va restringendosi. E’ difficile su queste basi
che il vertice riesca ad imporre una stretta autoritaria a tutti i
livelli. Difficilmente un apparato diviso e privo di autorevolezza
riuscirebbe a condurre una caccia alle streghe in grande stile,
arrivando a generalizzare il giudizio di incompatibilità a tutti i
delegati critici.
E pur tuttavia un problema di agibilità interna alla Cgil si pone. Si
pone in conseguenza del Testo Unico sulla Rappresentanza. Si pone in
conseguenza del caso degli incompatibili e del licenziamento di
Bellavita.
Ma a questo problema di agibilità si può e si deve reagire con un
rilancio dell’area che superi i limiti avuti fin qua dalla nostra
azione. Non possiamo pensare che la costruzione dell’opposizione in Cgil
discenda dagli spazi che ci vengono concessi. Non possiamo pensare che
essa sia un semplice esercizio di “denuncia”, di posizionamento nel
dibattito congressuale o degli organismi dirigenti. Oggi più che mai il
baricentro va spostato nei luoghi di lavoro, laddove si deve dispiegare
la nostra autonomia e capacità di autorganizzazione a prescindere dai
dettami della struttura.
Per fare questo è necessario superare anche una struttura dell’area
che oggi appare più un “intergruppo politico” che un luogo di
organizzazione e promozione del conflitto sindacale.
A riguardo ci sentiamo di avanzare le seguenti proposte:
– è necessario un censimento dell’area: in quali aziende siamo
presenti? In quali organismi? Con che funzioni? Dove siamo in segreteria
e con che ruolo? Quanti funzionari abbiamo e con che funzioni?
– l’esecutivo va affiancato da un gruppo di coordinamento che veda al
proprio interno le principali esperienze aziendali che compongono la
minoranza sindacale
– rafforzare la stesura e la creazione di un periodico dell’area con l’obiettivo di una sua diffusione nei luoghi di lavoro
– convocare un’iniziativa nazionale degli incompatibili che metta a
fuoco la nostra presenza in Fiat e stili una proposta di piattaforma
programmatica (salario, ergonomia, rientro nel contratto nazionale ecc.)
da propagandare e su cui raccogliere consensi all’interno di tutte le
aziende Fca e dell’indotto
– sviluppare una critica puntuale, con una nostra piattaforma
programmatica, sugli attuali rinnovi contrattuali a partire da quello
dei metalmeccanici.
– sviluppare una campagna per il sindacato democratico e
partecipativo che si opponga al testo unico sulla rappresentanza e che
ponga al suo interno il problema del controllo e della nomina dei
funzionari e dei delegati
– sviluppare una campagna contro il welfare aziendale, enti
bilaterali e sanità integrativa. Il tema della sanità è in questo
momento cruciale in molti luoghi di lavoro e rinnovi contrattuali.
Dario Salvetti Fiom Gkn Firenze
Matteo Moretti Fiom Gkn Firenze
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