Squinzi aveva un sogno e lo ha realizzato. Come dargli torto
d’altronde. Renzi con la manovra del def si appresta probabilmente a
realizzare la più grande detassazione d’impresa della storia
repubblicana. Superiore anche al famoso taglio del cuneo fiscale del
governo Prodi ( 300 euro in meno all’anno per ogni dipendente).
miliardi di euro direttamente sottratti alla spesa pubblica e sociale
verranno dirottati, a prescindere, nelle casse della imprese che risiedono
in Italia. Una distribuzione alla rovescia della ricchezza che aggraverà
le diseguaglianze e la recessione. A ciò si aggiunge l’ennesima
incentivazione alle assunzioni che non ha mai prodotto nessun risultato se
non far crescere l’insofferenza verso i dipendenti meno giovani , più
costosi e meno malleabili. Un regalo inatteso per imprenditori che
licenziano delocalizzano, attingono a piene mani aiuti di stato con gli
ammortizzatori sociali e hanno ripreso a portare i capitali all’estero.
Non ci sono i soldi per nazionalizzare l’Ilva che comincia a non pagare
più gli stipendi o per intervenire direttamente in economia con politiche
industriali massicce, ma ci sono i soldi per gli industrialotti anche per
quelli come Marchionne che pagano le tasse altrove. Profitti privati e
perdite pubbliche. Una vergognosa ingiustizia che si aggiunge alle scelte
del governo sul lavoro con la legge delega Jobs Act e che rende sempre più
chiaro il carattere reazionario del governo Renzi con buona pace del nuovo
verso e dei suoi adepti.
Squinzi non è costretto nemmeno a fingere e a domanda diretta se ci saranno
assunzioni risponde: difficile a dirsi… Ma Squinzi fa il suo mestiere,
bieco ma il suo mestiere. Incassa tutto e rilancia. Quello che manca sulla
scena è il lavoro. La manifestazione del 25 ottobre della Cgil è ben poca
cosa se non si lega ad una rottura totale con il partito democratico e con
il sistema che si è costruito intorno ad esso. Serve sopratutto il ritorno
a pratiche rivendicative, al conflitto ed alla democrazia sindacale
uscendo dall’accordo del 10 gennaio, da ogni idea perversa di
sindacato come soggetto generale e subalterno al mercato. Ciò che manca
più di ogni cosa è una nuova stagione di protagonismo, di
autorganizzazione delle lavoratrici e dei lavoratori sopra e oltre
l’appartenenza sindacale che imponga, con la forza dei bisogni, la
vera svolta. La rivolta indispensabile e urgente a cui lavoriamo.
Sergio Bellavita
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