Il «Partito della Fiom»? Il primo no arriva dagli operai...

Al compagno Giorgio Airaudo
Segretario nazionale Fiom 

Caro Giorgio, 
questa lettera non è soltanto una risposta alle tue dichiarazioni rilasciate qualche giorno fa su alcuni quotidiani, è soprattutto un chiarimento sul significato delle nostre posizioni che non sono mai mutate, nemmeno davanti alle più subdole minacce, posizioni che ritenevamo chiare ed ormai scontante ma che a quanto pare, alla luce dei fatti, delle tue proposte, evidentemente tanto chiare non erano. Pertanto non ci biasimerai nell’apprendere che la tua proposta, presentata come possibile alternativa, di candidare alcuni di noi per le prossime elezioni, ci ha lasciati alquanto sconcertati, proprio perché sei stato nostro compagno di battaglie e comprenderai quale stupore ci abbia colto il constatare che invece combattevamo due battaglie diverse. Il tuo messaggio è chiaro, la politica non ha saputo fare nulla per noi allora noi stessi diventiamo la politica così sapremo meglio far valere i nostri interessi, un po’ come farci giustizia da soli! No caro Giorgio, questa è la politica che combattiamo da oltre 40 anni e non è questo ciò che vogliamo. Noi siamo semplicemente operai, non abbiamo sensi di rivalsa e non vogliamo essere niente più di ciò che siamo e nemmeno ci sembrerebbe giusto, siamo uomini che per diritto, tra l’altro riconosciuto da sentenze che in un Paese Democratico dovrebbero avere un qualche valore,vogliono essere reintegrati a svolgere le loro mansioni da “operai”, uomini che hanno il diritto di guadagnare un salario e che non permetteranno a nessuno di regalarcelo. Lo dobbiamo non solo a noi stessi ma a tutti quei compagni che da tanti mesi ci danno sostegno e forza per andare avanti. Crediamo che ognuno debba assumersi la responsabilità di ciò che fa e di chi rappresenta, e speriamo ancora che qualcuno avrà la forza di assumersi l’impegno di rappresentarci nel modo più giusto senza ricorrere a vecchi giochi di pseudopolitica, che non hanno risparmiato alcun tipo di schieramento politico. Credi davvero che una manciata di voti “operai” possa rivoluzionare le nostre sorti compromesse da un sistema marcio? Chiediamo a chi dovrebbe rappresentarci, di farlo finalmente o di avere la coscienza di ritirarsi se crede di ,invece, non farcela. A noi resterà l’obbligo morale di sostenere chi ci rappresenta e la libertà di arrenderci con dignità piuttosto che vincere barando. Vincere per qualcuno, per pochi, non ci interessa,La politica la lasciamo fare a chi vuole farla, a chi crede di saperla fare.
Antonio Lamorte

E' stato un lungo tormentone estivo, il partito della Fiom. Evocato, richiesto, criticato. Non è mai esistito, né mai esisterà. Come continua instancabile a ricordare Maurizio Landini: "La Fiom ha fatto, fa e farà politica, ma rimarrà sempre un sindacato". Ora però si parla sempre con più insistenza di candidare lavoratori e operai nel prossimo Parlamento. Come ha ricordato, proprio a l'Unità Giorgio Airaudo, in questo l'unico operaio è Antonio Boccuzzi, sopravissuto al rogo Thyssen. E allora il segretario nazionale della Fiom ha rilanciato la richiesta ai partiti e ai movimenti di candidare alle prossime elezioni più operai. Airaudo ha fatto anche dei nomi, ricordando i casi più incredibili di operai che per il solo fatto di essere iscritti alla Fiom hanno subito licenziamenti, boicottaggi, perdita dei diritti sui luoghi di lavoro (non solo in Fiat). Ora uno di questi, Antonio Lamorte, operaio di Melfi che con Giovanni Barozzino e Marco Pignatelli è stato licenziato dalla Fiat per un presunto boicottaggio di una linea durante uno sciopero. Boicottaggio smentito dalle sentenze che ne hanno accertato la insussistenza ordinando alla Fiat la reintegra dei tre. Reintegra che non si è mai concretizzata, visto che la Fiat continua a pagarli ma non li fa lavorare. Ebbene, Antonio Lamorte risponde a Giorgio Airaudo esprimendo la proprio contrarietà. Non vuole essere candidato e spiega il perché: "No caro Giorgio, questa è la politica che combattiamo da oltre 40 anni e non è questo ciò che vogliamo. Noi siamo semplicemente operai, non abbiamo sensi di rivalsa e non vogliamo essere niente più di ciò che siamo”. “Siamo uomini che per diritto, tra l’altro riconosciuto da sentenze che in un Paese Democratico dovrebbero avere un qualche valore, vogliono essere reintegrati a svolgere le loro mansioni da “operai”, uomini che hanno il diritto di guadagnare un salario e che non permetteranno a nessuno di regalarcelo. Lo dobbiamo non solo a noi stessi ma a tutti quei compagni che da tanti mesi ci danno sostegno e forza per andare avanti. Crediamo che ognuno debba assumersi la responsabilità di ciò che fa e di chi rappresenta, e speriamo ancora che qualcuno avrà la forza di assumersi l’impegno di rappresentarci nel modo più giusto senza ricorrere a vecchi giochi di pseudopolitica, che non hanno risparmiato alcun tipo di schieramento politico”. Poi una domanda ad Airaudo: “Credi davvero che una manciata di voti “operai” possa rivoluzionare le nostre sorti compromesse da un sistema marcio? Chiediamo a chi dovrebbe rappresentarci, di farlo finalmente o di avere la coscienza di ritirarsi se crede di ,invece, non farcela. A noi resterà l’obbligo morale di sostenere chi ci rappresenta e la libertà di arrenderci con dignità piuttosto che vincere barando. Vincere per qualcuno, per pochi, non ci interessa, La politica la lasciamo fare a chi vuole farla, a chi crede di saperla fare…”. Alla lettera risponde prontamente e con “grande rispetto” Giorgio Airaudo: “Capisco disincanto, delusione, dissafezione e sconcerto per questa politica. Nel più grande rispetto per le scelte individuali, penso però che non si possa più delegare la rappresentanza del lavoro, non è più il tempo dell’Aventino del lavoro. Storie belle, coerenti, simboliche come quelle degli operai di Melfi avrebbero più dignità di molte altre storie personali e non colletive che dominano la politica di oggi”.

Massimo Franchi

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